Tre parole per prolungare la gioia della Pasqua

Incontro, gioia, sotterfugi: queste mi sembrano le tre parole che sintetizzano il brano evangelico del lunedì di Pasqua.
Innanzitutto l’incontro che le donne, recatesi al sepolcro, fanno con Gesù: sì, perché la nostra fede cristiana (e qui siamo agli albori del Cristianesimo) nasce e si sviluppa non da un’ideologia ma dall’incontro con una persona, dall’incontro con il Risorto che, in quanto tale, non giace più nel sepolcro ma è vivo, presente in mezzo a noi.

Mi piace pensare a queste donne che, correndo dai discepoli per annunciare loro quanto detto dall’angelo, ovvero che «il crocifisso, non è qui, è risorto come aveva detto» se lo trovano davanti e lo adorano. Mi sorge allora una domanda: quanto noi cerchiamo, desideriamo effettivamente, anche dopo un cammino quaresimale “ben fatto”, l’incontro con il Risorto? Quanto siamo mossi da quella fretta, da quella trepidazione di annunciare che Gesù non si trova, dopo la morte in croce, cadavere in un sepolcro, ma tra i viventi, perché Lui è «primizia di coloro che risorgono»?

C’è poi la gioia che anima queste donne dopo aver ascoltato le parole dell’angelo (mentre le guardie tremano per lo spavento!): una gioia che diventa contagiosa, una gioia che nasce da una grande e bella notizia, una gioia che poggia su una certezza che sconvolge radicalmente e positivamente la vita del genere umano. È la stessa “gioia del Vangelo” di cui parla papa Francesco, che deve animare la vita di un credente e più in generale dell’uomo, perché fa riferimento a quella certezza di cui si parlava poc’anzi. Interroghiamoci se davvero siamo “abitati” da questa gioia, se riconosciamo, e per questo siamo grati a Dio, la portata grandiosa dell’evento “Risurrezione di Gesù”.

Infine i sotterfugi: sono quelli architettati dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo per nascondere la risurrezione di Gesù, sotterfugi pensati con una giustificazione un po’ maldestra (i discepoli sono venuti di notte e hanno rubato il corpo di Gesù mentre le guardie dormivano): ma che razza di guardie sono se, durante il loro turno, dormono? Sotterfugi pensati da chi vuol negare l’evidenza, da chi non vuol riconoscere di aver sbagliato, di non avere capito quel “Gesù di Nazareth” perché imprigionato nei proprio schema mentali; imprigionato, come dice san Paolo, nella Legge mosaica che Gesù aveva superato. Allora pensiamo alle nostre meschine giustificazioni, alle nostre chiusure del cuore, per non seguire la via del Risorto, perché Lui ci chiede un certo cambiamento delle nostre abitudini, del nostro “modus vivendi” incrostato dalle scorie del peccato, perché ci chiede di non rimanere schiavi del peccato e di norme fini a stesse, di non essere “figli delle tenebre” e ricadere nella paura, ma “figli della luce” che hanno davanti una prospettiva grandiosa: l’incontro finale con Dio Padre nella vita eterna, proprio perché suoi figli.