Una nuova figura di Padrini e Madrine: una proposta

PADRINI E MADRINE: STATO ATTUALE E PROSPETTIVE

In molte diocesi italiane i vescovi hanno oramai abolito ad experimentum la figura dei padrini e delle madrine. Ovviamente le motivazioni di tale scelta sono solidamente fondate, così come è altrettanto legittimo che esse possano essere più o meno condivise.
Non essendo il ruolo del padrino e della madrina obbligatoriamente previsto dal Codice di Diritto Canonico, specialmente per la Cresima, ad ogni singola parrocchia è lasciata la facoltà di adottare la decisione più opportuna a riguardo. Ognuno quindi si muove in base a quella che può sembrare la decisione pastoralmente più opportuna.
Tuttavia è proprio per motivi pastorali che ritengo sarebbe opportuna una certa uniformità, almeno a livello diocesano.

Nella nostra diocesi, un numero significativo di parroci, tra cui il sottoscritto, è contrario all’abolizione in toto di questa figura. Specialmente quando in questa scelta si manifesta una sorta di giudizio morale sulle persone designate a ricoprire questo ruolo.
E’ quindi certamente opportuno riflettere assieme sul significato che essa ancora riveste, specie in un momento di profondi cambiamenti come quello che stiamo vivendo.

Attualmente per potere essere ammessi al ruolo del padrino e della madrina, secondo il Codice di Diritto Canonico (can. 874), sono richiesti i seguenti requisiti:

  • Che abbiano compiuto almeno 16 anni di età.
  • Che siano cattolici, abbiano già ricevuto il Sacramento dell’Eucaristia e della Confermazione (cresima) e conducano una vita conforme alla fede e all’incarico che assumono.
  • Che non siano né il padre né la madre del candidato ai Sacramenti.
  • Che non siano persone sposate solo con rito civile, divorziate e risposate o conviventi di fatto.

In mancanza di tali requisiti si è trovato un escamotage, attraverso l’introduzione della figura del testimone, considerato da molti come una forma di compromesso che fa emergere alcune ambiguità.

La non ammissione a questo ruolo infatti credo rappresenti una forma di esclusione, che ferisce nella dignità la persona.
Credo inoltre siamo tutti d’accordo che i requisiti richiesti riflettano una visione di società che non è più la stessa di cinquanta anni fa. Possiamo poi affermare senza paura di essere smentiti che, chi in seno alle Comunità possiede i requisiti richiesti, non sempre manifesta scelte conformi a ciò che professa.

Scomparso oramai quel ‘regime di cristianità’ che vedeva la società rispecchiarsi quasi in tutto nei valori del messaggio evangelico e della dottrina cattolica, siamo posti, come cristiani, non  a rivedere i nostri valori ma a rimodulare il rapporto con la società all’insegna del dialogo, cercando di cogliere ‘semi di verità’ anche al di fuori della fede cattolica.

UN SIGNIFICATO ALLARGATO E INCLUSIVO

Il tempo che viviamo è caratterizzato da una progressiva scristianizzazione della società e da una conseguente e crescente indifferenza nei confronti del messaggio cristiano. Da ciò nasce l’esigenza di questa rimodulazione di significati. Rimodulare non vuol dire certo negoziare i principi ma sapere riconoscere ogni ‘seme di verità’ nel contesto contemporaneo, all’interno del quale la Chiesa non smette di essere sale e lievito.
Le differenze, anche di fede e religione, non sono mai una minaccia ma sempre una risorsa che stimola il cammino nella conoscenza, principalmente di noi stessi.
Il vangelo è un formidabile strumento per imparare ad accogliere, a non escludere nessuno. E’ compito della Chiesa non tanto uniformare ma armonizzare, saper cogliere in ogni differenza un semi di verità e germogli di vita.
Se solo non chiudiamo gli occhi all’evidenza che le fragilità del nostro tempo sono lontanissime dal trovare risposte nei precetti della morale cattolica tradizionale, credo che ogni analisi debba essere fatta da differenti prospettive.
Soprattutto, nella convinzione che sia possibile «cercare, cogliere e ricevere da chiunque anche solo un frammento della Verità», e che «i “germi” del Regno sono scoperti e annunciati dalla Chiesa dentro e fuori di sé». Una Chiesa che abbraccia il mondo e che si lascia contagiare dal mondo» D’altronde, «la voce dello Spirito Santo si manifesta anche oltre i confini dell’appartenenza ecclesiale e religiosa» e «apre nuove comprensioni del contenuto della Rivelazione» (IEC, Proemio, §5); sia quando esso richiede «attenzione all’accompagnamento, discernimento e integrazione (Amoris laetitia, §241-246; 291-312) delle “situazioni imperfette”, “complesse” o “dette “irregolari” relative alle famiglie attuali.

La Chiesa, a partire dal significato originario del termine (l’ekklesìa era “l’assemblea” del popolo chiamato a riunirsi), unisce e accoglie, non esclude; valorizza il confronto e la pluralità. Ogni volta che la Chiesa esclude viene meno alla sua missione originaria e tradisce il suo universale messaggio di salvezza.

Questa valorizzazione delle differenze non deve mai portarci a relativizzare i nuclei essenziali della nostra fede e, in nome di un malinteso pluralismo e di una visione laicista, a svuotare dei veri significati ciò che invece vorrebbe esprimere il linguaggio della liturgia, dimenticando che la legge di ciò che crede é la legge di ciò che si prega e si vive (Lex credendi, Lex orandi…) secondo un principio teologico dei primi secoli della Chiesa.

Recentemente, in un incontro con le madrine, i padrini e i testimoni, scelti dai cresimandi, ho osservato e ascoltato con molta attenzione gli interventi di tutti i presenti che, con naturalezza, hanno condiviso di sentirsi onorati nell’essere stati scelti a ricoprire questo ufficio per motivazioni puramente umane. La dimensione spirituale non è stata neppure menzionata. Ho apprezzato tutti gli interventi, anche quando qualcuno ha sinceramente ammesso di non essere credente e qualche altro di non aver completato il proprio percorso di iniziazione cristiana con la Cresima.

Ma come, si potrebbe obiettare, e hanno fatto da padrini e madrine? Come è possibile? Con quale significato o in quale ruolo?

Aiutandoli proprio a scoprire il giusto significato di questo ruolo in risposta ad un invito, quello dei ragazzi/e cresimandi e delle loro famiglie. Un significato nuovo, più umano, che può prescindere da un diretto riferimento alla fede.

A tal proposito, mi è sembrato opportuno, più logico e rispettoso, esonerare i padrini e le madrine da tutto ciò che, attraverso le parole e i gesti della liturgia, non potesse certamente esprimere una loro verità, almeno in quel momento, ma valorizzare il loro esserci davanti ad una richiesta dei loro figliocci che certamente rivela stima, fiducia e affetto.

Ho riflettuto parecchio e anche io sono arrivato ad una decisione che, se da una parte non esclude nessuno, d’altra parte però rivede i significati di questa presenza, nel rispetto di ciò in cui si crede e dei valori secondo i quali si sceglie di vivere.

Sì, perché la fede non è un costume da indossare in certe occasioni, ma è indissolubilmente legata alla vita.  Come denunciava il grande Paolo VI, la frattura tra fede e vita è una patologia che perdura da anni nella Chiesa e che trasforma la fede in religione e le due cose sono ben distinte e ben diverse. Una cosa è la fede, altra cosa è la religione. Nei nostri contesti ecclesiali assistiamo spesso ad una forza della religione e ad una spaventosa (e scandalosa) debolezza della fede. Leggendo i vangeli quante volte Gesù rimprovera per questo scribi e farisei (i credenti del tempo, compresi i preti e i vescovi)

Alla luce di queste considerazioni, sulle quali continueremo a confrontarci in futuro, ho preso la mia decisione, in attesa che il nostro vescovo e la CEI ci diano indirizzi più chiari a riguardo.

ORIENTAMENTI PER LA LITURGIA

  • Per i Battesimi e per le Cresime, potranno essere scelti padrini/madrine/testimoni anche se non si possiedono i requisiti canonici. Una maggiore attenzione e relativa valutazione, dovrà essere prestata per il sacramento del Battesimo.
  • Il significato di questo ruolo va contestualizzato all’interno dei valori umani, di supporto affettivo in un delicato momento di crescita come quello dell’adolescenza, sia per chi si dichiara credente, praticante o meno, sia per chi vive situazioni di diverso genere;
  • Per coerenza logica, i padrini/madrine/testimoni saranno dispensati da tutte quelle azioni liturgiche previste nel sacramento del Battesimo e della Cresima;
  • Nel Rito della Cresima, il candidato al sacramento sarà presentato al vescovo dal parroco o dal/dalla catechista che lo ha seguito nel percorso di preparazione. Nel rito del Battesimo si valuterà caso per caso la situazione di chi chiede il Battesimo per i bambini. In ogni caso, solo i genitori potranno accedere all’interno del Battistero.

STILE PASTORALE

  • Una prassi pastorale inclusiva che, se può prescindere dalla situazione personale di fede, accoglie coloro che sono designati a fungere da padrini/madrine/testimoni, con fiducia per il supporto che umanamente potranno essere per i loro figliocci.
  • Una valorizzazione della diversità e rispetto di ogni fragilità, come eventuale punto di partenza, di dialogo e confronto con la stessa Chiesa e con la Comunità.
  • Un modo di essere Chiesa che non accoglie per “portare dentro” ma accoglie riconoscendo il valore dell’altro in quanto fratello e sorella nella nostra umanità ancor prima che per motivi di fede o religione.
  • Una visione pastorale capace di rimanere fedele alla propria missione ma che riconosce la complessità del momento storico che stiamo vivendo rifuggendo da frettolose analisi oggetto della propria valutazione.
  • Uno stile dove si sospende il giudizio in sintonia con una visione genuinamente evangelica, capace non solo di accogliere ma di valorizzare tutto ciò che di vero e di buono lo Spirito Santo suscita in modo misterioso e imprevedibile.
  • Una prassi capace di allentare rigidi paradigmi e porre sempre al centro l’uomo di oggi, nella sua complessità e nei suoi reali bisogni.

OBIEZIONI E DIFFICOLTA’

L’obiezione che spesso nei giorni scorsi mi è stata fatta è che questa decisione rompe con una bella tradizione e con la importante componente legata ai gesti della liturgia. Ma tale componente, molto spesso meramente formale se non addirittura teatrale, ci allontana dal significato vero di ciò che si celebra.

Non credo sia rispettoso, tanto meno caritatevole, escludere delle persone perché ‘prive dei requisiti’. La vita è più forte, prevale rispetto a qualsiasi forma e norma della tradizione religiosa e Dio sta sempre dalla parte della vita, pur con tutte le sue tensioni, drammi e contraddizioni.

La stanca difesa di riti consuetudinari si risolve in un atto sterile, che non genera speranza e dà le spalle al futuro. Rispecchia una visione miope, di una Chiesa chiusa in se stessa, a difesa delle proprie abitudini, non importa quanto lontane dal presente.
In pratica, credo che siamo chiamati a non confondere l’essenziale della fede, che è immutabile, con le abitudini e gli schemi pastorali, che vanno mantenuti e conservati solo quando sono a servizio della verità degli uomini e delle donne di oggi.

don Alessandro