n quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita» (…).
Io sono la via, la verità e la vita. Parole immense, che evadono da tutte le parti. Io sono la via, sono la strada, che è molto di più di una stella polare che indica, pallida e lontana, la direzione. È qualcosa di vicino, solido e affidabile dove posare i piedi; il terreno, battuto dalle orme di chi è passato ed è andato oltre, e che ti assicura che non sei solo. La strada è libertà, nata dal coraggio di uscire e partire, camminando al ritmo umile e tenace del cuore. Gesù non ha detto di essere la meta e il punto di arrivo, ma la strada, il punto di movimento, il viaggio che fa alzare le vite, perché non restino a terra, non si arrendano e vedano che un primo passo è sempre possibile, in qualsiasi situazione si trovino.
Alla base della civiltà occidentale la storia e il mito hanno posto due viaggi ispiratori: quello di Ulisse e del suo avventuroso ritorno a Itaca, il cui simbolo è un cerchio; il viaggio di Abramo, che parte per non più ritornare, il cui simbolo è una freccia. Gesù è via che si pone dalla parte della freccia, a significare non il semplice ritorno a casa, ma un viaggio in–finito, verso cieli nuovi e terra nuova, verso un futuro da creare. Io sono la verità: non dice “io conosco” la verità e la insegno; ma “io sono” la verità.
Verità è un termine che ha la stessa radice latina di primavera (ver–veris). E vuole indicare la primavera della creatura, vita che germoglia e che mette gemme; una stagione che riempie di fiori e di verde il gelo dei nostri inverni. La verità è ciò che fa fiorire le vite, secondo la prima di tutte le benedizioni: crescete e moltiplicatevi. La verità è Gesù, autore e custode, coltivatore e perfezionatore della vita. La verità sei tu quando, come lui in te, ti prendi cura e custodisci, asciughi una lacrima, ti fermi accanto all’uomo bastonato dai briganti, metti sentori di primavera dentro una esistenza. Io sono la vita. Che è la richiesta più diffusa della Bibbia (Signore, fammi vivere!), è la supplica più gridata da Israele, che è andato a cercare lontano, molto lontano il grido di tutti i disperati della terra e l’ha raccolto nei salmi.
La risposta al grido è Gesù: Io sono la vita, che si oppone alla pulsione di morte, alla violenza, all’auto distruttività che nutriamo dentro di noi. Vita è tutto ciò che possiamo mettere sotto questa nome: futuro, amore, casa, festa, riposo, desiderio, pasqua, generazione, abbracci. Il mistero di Dio non è lontano, ma è la strada sottesa ai nostri passi. Se Dio è la vita, allora “c’è della santità nella vita, viviamo la santità del vivere” (Abraham Hescel). Per questo fede e vita, sacro e realtà non si oppongono, ma si incontrano e si baciano, come nei Salmi.
Letture: Atti 6,1–7; Salmo 32; 1 Pietro 2,4–9; Giovanni 14, 1–12
Ermes Ronchi
Avvenire
Sicuramente abbiamo letto questo vangelo molte volte. E non ci rendiamo conto del fatto che in realtà non crediamo in quello che Gesù dice in questo testo. Non ci crediamo perché il Dio che abbiamo in testa non è il Padre del quale parla Gesù. Lo stesso Gesù dovrebbe porci la stessa domanda fatta a Filippo: «Non credi che sono nel Padre ed il Padre è in me?». Dio, il Padre, sta in Gesù. Cioè, in Gesù il divino si è unito all’umano. Quindi, nel comportamento di Gesù vediamo qual è il comportamento di Dio. E nelle preferenze di Gesù impariamo quali preferenze ha Dio.
Probabilmente preferiamo che Dio stia in cielo, molto lontano. E noi qui sulla nostra terra. C’è molta gente che ha bisogno di un Dio lontano e maestoso, da adorare. Questa gente teme un Dio vicino, umano, tangibile e visibile, da imitare. L’adorazione è più facile e meno esigente dell’imitazione. L’adorazione si fa in un lasso di tempo e dopo ci lascia in pace ed in buona coscienza. L’imitazione è impegno di sempre, nel lavoro e nel riposo, nel tempio e nella strada, nelle gioie e nelle sofferenze. L’adorazione si conclude presto. L’imitazione è un carico pesante che non ci abbandona ed esige da noi costante vigilanza.
In generale, le religioni sono un progetto di relazione con Dio. Il cristianesimo è un progetto di unione con Dio. La “relazione” consiste nell’osservare determinate “mediazioni” (riti, cerimonie, abitudini…). L’”unione” consiste nel fare a tutte le ore quello che fa Dio. Per esempio, Dio manda il sole ogni mattina sui buoni e sui cattivi e fa cadere la pioggia allo stesso modo su giusti e peccatori. Ossia, Dio non fa differenze. Credere nel Dio di Gesù è vivere senza fare mai differenze: tra amici e nemici, tra quelli di destra e quelli di sinistra, tra ricchi e poveri, tra persone note e sconosciute. Ma allora, se è così, come è difficile credere veramente nel nostro Dio! Solo la bontà e la forza di Gesù possono rendere questo possibile.
Bisogna domandarsi in tutta sincerità e senza paura: abbiamo paura del Vangelo? Questa domanda è fondamentale. Perché, se ci dimentichiamo del Vangelo, se non lo abbiamo costantemente presente nei nostri principi, nelle nostre convinzioni e regole di comportamento, non sarà perché ci fa paura? Non ci succederà che abbiamo timore nel dover accettare che la rettitudine della nostra vita dipenda dalla nostra fedeltà al Vangelo?
p. José María Castillo
Il dialogo