V domenica di Quaresima; Lazzaro e il cammino di Arianna verso la vita eterna

Siamo giunti alla quinta domenica di Quaresima, “la domenica di Lazzaro”, ormai alle porte della domenica delle Palme e della Settimana Santa. E il nostro cammino di ricomprensione della nostra fede in Gesù, morto e risorto per noi che celebreremo nel santo triduo, prosegue con un nuovo incontro, in cui al centro vi è proprio il tema della morte e della vita.

            La pagina evangelica di questa domenica, orienta i nostri sguardi verso il mistero pasquale, che è mistero della vita che vince la morte, anche se in una luce diversa da quella pasquale, come vedremo.

            Abbiamo qui l’ultima tappa anche del cammino mistagogico che nelle ultime tre domeniche di quaresima s’intensifica, con le tre catechesi battesimali che abbiamo seguito quest’anno a motivo della preparazione di tutta la Comunità al Battesimo di Arianna: il tema dell’acqua (Samaritana), quello della luce (cieco nato) e ora quello della vita.

            Il cammino della fede, ci dicono i testi di questa domenica, è cammino verso la vita, è – dev’essere – esperienza di vita, nelle sue varie forme. Non solo vita biologica.

Noi siamo costantemente minacciati dalla morte, cioè dal peccato. Ma in noi, dice Paolo, vi è anche lo “Spirito di Dio” e lo “Spirito di Cristo” (v. 9). Allora: “Se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia” (v. 10). Una prima esperienza di morte-vita è, per Paolo, quella di “peccato-giustizia”. Ogni cedimento al peccato è esperienza di morte e ogni esperienza di giustizia è dinamica di vita. Abbiamo qui una prima dimensione di morte e vita, che facciamo quotidianamente. La morte e la vita, dice Paolo, non sono relegate alla fine dei nostri giorni terreni e all’aldilà. Ogni giorno, con le nostre scelte, parole, azioni, relazioni, noi esperiamo morte e vita. In noi si muovono la potenza della “carne” e la potenza dello Spirito.

            E’ lo Spirito Santo, che immette energie di vita nel nostro quotidiano, nel nostro oggi, opponendosi alla carne, è poi anche promessa di vita oltre la morte. Per Paolo, dunque, la promessa della nostra risurrezione risiede in quello Spirito che ci è stato donato e che già dimora in noi. Credere nella propria resurrezione, significa credere nella presenza dello Spirito santo in noi, oggi, adesso, e non come qualcosa di vago che avverrà nel futuro…

            Morte e vita, dunque, non sono realtà solo “ultime”, ma anche “quotidiane”. Ogni giorno noi facciamo esperienze di morte e di vita; e a nulla serve parlare di vita eterna e di resurrezione, se questo non avesse un impatto nel nostro oggi. Dare la vita e dare la morte, darsi la vita e darsi la morte, sono dinamiche molto più feriali di quanto siamo portati a credere.

            Nel lungo brano di Lazzaro, per tre volte Gv annota il pianto e il turbamento di Gesù (vv. 33.35.38), ma a quell’afflizione fa seguito un grido di vittoria, in cui Gesù chiama l’amico per nome: “Lazzaro, vieni fuori!” (v. 43), rivelandosi vero pastore che “chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori” (10,3). Così accadrà anche a Maria di Magdala nel giardino, anch’essa chiamata per nome (Gv 20,16).

Due situazioni che sembrano in contraddizione, come spesso è stato rilevato, ma che forse, ancora una volta, sono di una coerenza straordinaria.

            Ma perché Gesù piange prima di ridare la vita a Lazzaro? Lui sapeva quello che stava per fare? La ragione è nel significato di quelle lacrime, che diventano per noi annuncio di qualcosa di estremamente prezioso: ancora una volta Gv sottolinea l’affetto che legava Gesù a Lazzaro e alle sue sorelle.

Anche il tema tema dell’affetto di Gesù: perché è così importante? Che senso ha per Gv? Non si tratta di un particolare puramente coreografico, ma essenziale, perché quell’affetto è l’altro aspetto della vita che Gesù dona ai suoi amici, è l’altro aspetto quotidiano della resurrezione: è anch’esso vittoria sulla morte. Gesù ridà la vita a Lazzaro innanzitutto con il suo affetto. La resurrezione del corpo dell’amico è solo l’espressione più alta di una realtà molto profonda. Ecco perché tanta insistenza.

E questo per noi, cui forse non capiterà mai di resuscitare un morto  e neppure di essere risuscitati durante questa vita.

Questa convinzione è particolarmente importante: la vita la diamo e la riceviamo attraverso la carità concreta, l’affetto concreto che siamo capaci di vivere. Ogni volta che siamo capaci di affetto, noi diamo la vita. Ogni volta che siamo amati, noi riceviamo la vita. Viceversa uccidiamo ogni volta che non siamo capaci di questo o peggio ancora odiamo…

Detto in altri termini: la vita la si ridà in tanti modi… C’è un modo tutto umano e quotidiano di “dare la vita” che passa attraverso quello che le lacrime significano: amare. Possiamo allora dire che Gesù ha risuscitato Lazzaro in due modi, che poi sono solo uno: prima piangendo e compatendo l’umanità ferita, e poi richiamando in vita l’amico morto, con la potenza che gli viene dal Padre.

Ciò che vince la morte, ora come alla fine dei tempi, è solo l’amore, come ricorda il Cantico dei cantici: “forte come la morte è l’amore” (8,6). Questo vale per Dio nei nostri confronti, ma vale anche per noi nei nostri rapporti…

Don Alessandro