Letture:
Isaia 45,1.4-6; Salmo 95;
1 Tessalonicesi 1,1-5; Matteo 22,15-21
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
Abbiamo sempre bisogno di appartenere a qualcuno. Siamo tutti come la moneta romana che mostrano a Gesù: «Divo Tiberio», «sono del divino Tiberio, figlio di Augusto». E io a chi appartengo? Forse alle cose, ai poteri forti, al pensiero dominante, oppure ai miei sogni, ai legami vitali, all’amore che provo e che, mi assicura la Bibbia (cf 1Gv 4,16), è «Dio che ama in me»? I filoimperiali di Erode e gli indipendentisti del sinedrio pongono a Gesù una di quelle domande taglienti che fanno impennare l’audience e dividono gli spettatori: maestro, tu che sei libero e dici le cose come stanno, che relazione hai con Cesare, con il potere? La risposta di Gesù è acuta: come al suo solito, davanti a domande maliziose o capziose, porta gli uditori su di un altro piano, spiazzandoli con un doppio cambio di prospettiva. Primo cambio: sostituisce il verbo «pagare» con «restituire»: rendete, restituite a Cesare ciò che è di Cesare. Un imperativo forte, che coinvolge ben più di qualche moneta, che dà un’anima nuova alle relazioni: restituite il molto ricevuto, date indietro, guardate alla sorgente. Vivere è restituire vita, che viene da prima di noi e va oltre noi. Viviamo per restituire amore a chi con l’amore ci ha fatto e ci fa vivere. Come il respiro: accogli e restituisci, non lo puoi trattenere, è puro dono. «Ricevimi, donami, donandomi mi otterrai di nuovo», scrive l’antico libro dei Rig Veda. Secondo cambio di prospettiva: Gesù fa entrare in gioco la sua visione e la sua forza profetica recidendo di netto il legame tra le due parole incise sul denaro: divino Tiberio. Cesare non è Dio, Tiberio non è divino. Rendete a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio. A questo punto Gesù si ferma, non si sostituisce a noi, non ci esenta dalla responsabilità di usare la nostra intelligenza per valutare, scegliere, decidere cosa sia di Cesare, cosa di Dio.
Restituite a Dio quello che è di Dio: di Dio è la terra e quanto essa contiene (Dt 10,14). Anche Cesare appartiene a Dio. Ogni persona porta incisa l’iscrizione profetica: «io appartengo al mio Signore», «ha scritto sulla mano: del Signore!» (Isaia 44,5). Ognuno una piccola moneta d’oro con, in altorilievo, l’immagine e la somiglianza con Dio, sormontata da una dedica sacra: «sono di Dio». Ognuno un talento inviato al mondo, da far fruttare e poi restituire al bene comune. Ma non in perdita: «donandomi, mi otterrai di nuovo». Entrando così nel circuito del dono che Gesù instaura invece del possesso. Non l’accumulo, ma la restituzione; non le porte blindate sui miei averi, ma la loro circolazione nelle vene del mondo. L’uomo vive di vita donata. Prima ricevuta e poi restituita.
Ermes Ronchi
Versare l’imposta all’impero di Roma che schiaccia col suo potere arbitrario e domina illegittimamente il popolo ebraico è lecito o no?
La domanda viene posta all’ebreo Gesù per coglierlo in fallo: rispondendo sì, verrebbe tacciato di collaborazionismo. Rispondendo no, è passabile di denuncia in quanto sovversivo.
Ma Gesù esce dalla trappola chiedendo una moneta, e questi gliela porgono. Ipocriti e commedianti pare dire Gesù: se avete in tasca una moneta con l’effige del dio-imperatore siete di fatto già alla sua mercè, ne riconoscete l’autorità accettando la dominazione di cui siete vittime. Ora, pagare la tassa è solo un atto consequenziale e l’ultimo dei problemi.
Ma Gesù vuole far uscire i suoi uditori dall’impasse, e fargli compiere un passaggio di soglia. Pagate pure la tassa all’imperatore – pare dirci – ma non sacrificategli la vita.
Gesù ha messo sempre in guardia dal sottomettersi all’autorità, di ogni genere – anche quella familiare – se questa inficia la dignità della persona: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; (Mt 10, 34-37); (cfr. 19, 29).
Se qualcuno si porrà al di sopra di voi, anche con le ‘migliori intenzioni’ voi toglietevi dalle loro maglie, e ricominciate a respirare.
Ma il tema offertoci dal vangelo di oggi pare spingerci ancora più in là, lasciando preziose indicazioni per il nostro vivere in comunità: «Dio e Cesare sono due realtà inconfondibili, bisogna rapportarsi a entrambi ma senza togliere niente a nessuno. Cesare, ossia la potestà politica, non ha diritto di legiferare sul campo di Dio, cioè sul sacro, ma nemmeno gli uomini di Dio possono ingerirsi sul dominio di Cesare. La religione non è un affare di stato, la politica non è un sottodominio del potere religioso. Chi esercita l’uno non esercita, per lo stesso diritto, l’altro. Non spetta allo stato far religione, non tocca alla chiesa far pronunciamenti o scelte politiche. La società di Cristo ha la propria identità che deve essere rispettata, ma ha anche l’obbligo di lasciarla alle altre istituzioni sociali» (Ortensio da Spinetoli).
Paolo Squizzato