Letture:
Sapienza 11,22-12,2; Salmo 144; 2 Tessalonicesi 1,11-2,2; Luca 19,1-10
Il Vangelo è un libro di strade e di vento. E di incontri. Gesù conosceva l’arte dell’incontro, questo gesto povero e disarmato, potente e generativo. Siamo a Gerico, forse la più antica città del mondo. Gesù va alle radici del mondo, raggiunge le radici dell’umano. Gerico: simbolo di tutte le città che verranno dopo. C’è un uomo, piccolo di statura, ladro come ammette lui stesso alla fine, impuro e pubblicano (cioè un venduto) che riscuoteva le tasse per i romani: soldi, bustarelle, favori, un disonesto per definizione. E in più ricco, ladro e capo dei ladri di Gerico: è quello che si dice un caso disperato. Ma non ci sono casi disperati per il Signore. Zaccheo sarebbe l’insalvabile, e Gesù non solo lo salva, ma lo fa modello del discepolo.
Gesù giunto sul luogo, alza lo sguardo verso il ramo su cui è seduto Zaccheo. Guarda dal basso verso l’alto, come quando si inginocchia a lavare i piedi ai discepoli. Il suo è uno sguardo che alza la vita, che ci innalza! Dio non ci guarda mai dall’alto in basso, ma sempre dal basso verso l’alto, con infinito rispetto. Noi lo cerchiamo nell’alto dei cieli e lui è inginocchiato ai nostri piedi. «Zaccheo, scendi subito, devo fermarmi a casa tua». Il nome proprio, prima di tutto. La misericordia è tenerezza che chiama ognuno per nome. “Devo”, dice Gesù. Dio deve venire: a cercarmi, a stare con me. È un suo intimo bisogno. Lui desidera me più di quanto io desideri lui. Verrà per un suo bisogno che gli urge nel cuore, perché lo spinge un fuoco e un’ansia. A Dio manca qualcosa, manca Zaccheo, manca l’ultima pecora, manco io.
“Devo fermarmi”, non un semplice passaggio, non una visita di cortesia, e poi via di nuovo sulle strade; bensì “fermarmi”, prendendomi tutto il tempo che serve, perché quella casa non è una tappa del viaggio, ma la meta. “A casa tua”, Il Vangelo è cominciato in una casa, a Nazaret, e ricomincerà ancora dalle case, anche per noi, oggi. L’infinito è sceso alla latitudine di casa: il luogo dove siamo più veri e più vivi, dove accadono le cose più importanti, la nascita, la morte, l’amore. «Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia». Accogliere Gesù è ciò che purifica Zaccheo: non deve prima cambiare vita, dare la metà ai poveri, e solo dopo il Signore entrerà nella sua casa. No. Gesù entra, ed entrando in quella casa la trasforma, la benedice, la purifica. Il tempo della misericordia è l’anticipo. La misericordia è la capacità che ha Dio di anticiparti. Incontrare uno come Gesù fa credere nell’uomo; un uomo così libero crea libertà; il suo amore senza condizioni crea amanti senza condizioni; incontrare un Dio che non fa prediche ma si fa amico, fa rinascere.
P. Ermes Ronchi
Siamo ormai al termine del viaggio di Gesù a Gerusalemme e, prima di arrivare nella Città santa, il Maestro attraversa Gerico: qui abita un uomo di nome Zaccheo, che si è arricchito in modo disonesto grazie al suo mestiere di capo dei pubblicani. Questo peccatore pubblico ha nel cuore un profondo desiderio di conoscere Gesù, come mostra il suo comportamento e, senza paura di essere ridicolizzato, poiché è di bassa statura, sale su un albero di sicomoro per poter superare l’ostacolo della folla e scorgerlo mentre passa.
Ed ecco, scrive l’evangelista, che «Gesù, quando giunse sul luogo, alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”». Zaccheo, meravigliato che Gesù possa incontrare lui, un pubblico peccatore, «scese in fretta e lo accolse pieno di gioia». Facciamo attenzione a quel «in fretta». Le chiamate del Signore non ammettono indugi, ritardi. Si deve rispondere prontamente e con gioia alla chiamata di Gesù come ha fatto Zaccheo, come fece Matteo (cf Lc 5, 27-32). Noi, purtroppo, molto spesso, non accogliamo l’invito di Gesù e ci comportiamo come quel notabile ricco, che: «udite queste parole, divenne assai triste perché era molto ricco» (cf Lc 18, 23).
Gesù, dunque, va a casa di quest’uomo e, coloro che non sopportavano che egli si rivolgesse ai peccatori manifesti, lo condannano. Luca, infatti, scrive: «vedendo ciò, tutti mormoravano: “È entrato in casa di un peccatore!”». Anche noi, spesso, condanniamo le persone giudicandole e mormorandole. Ma chi siamo noi per giudicare? Noi guardiamo la pagliuzza che è nell’occhio del nostro fratello e non vediamo la trave che è nel nostro occhio (cf Lc 6, 41). Impariamo e sforziamoci a non giudicare «perché il giudizio appartiene a Dio» (cf Dt 1, 17). Dio ama ciascuno di noi perché siamo suoi figli. Il brano della Sapienza, nella prima lettura, ci ricorda questo amore di Dio che «ha compassione di tutti», perché egli è «amante della vita».
Zaccheo si sente amato, cambiato, a lui non interessa ciò che la gente dice. Infatti, annota l’evangelista, che «alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”». Zaccheo mostra che l’incontro con Gesù ha causato in lui la conversione: si impegna, infatti, a compiere un gesto concretissimo che riguarda proprio le sue ricchezze, per le quali si era smarrito nel peccato! Tutto ciò a cui aveva dato importanza fino ad allora perde di significato, non può più essere inteso come valore, né tanto meno come scopo della sua vita. Ecco allora la sua decisione di condividere con i poveri i propri beni e di risarcire le persone frodate, al di là delle prescrizioni della legge.
Gesù commenta queste parole con un’affermazione straordinaria: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo». Egli sa vedere un uomo e un figlio di Abramo dove gli altri vedono solo un peccatore, e a quest’uomo offre la salvezza che coinvolge non soltanto lui, ma tutta la sua casa. Gesù, quindi, ci ricorda la sua missione fondamentale, prima di andare incontro alla morte: «Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». Come è entrata quel giorno nella casa di Zaccheo, così la salvezza portata dal Signore può entrare ogni giorno nelle nostre case. Per accoglierla dobbiamo confessare con cuore sincero: «Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io» (cf 1Tm 1, 15).
Don Lucio D’Abbraccio